Oltre la crisi demografica: il vero tema è il mismatch valoriale
Non è più sufficiente attribuire la difficoltà di attrarre giovani tecnici alla sola scarsità di laureati in ingegneria, architettura o discipline STEM.
Il problema reale non è quantitativo, è qualitativo: esiste una crescente disconnessione tra ciò che i giovani cercano nel lavoro e ciò che gli studi tecnici sono in grado di offrire.
Gli studi e le imprese continuano a comunicare attraverso modelli professionali che non parlano più alla nuova generazione di talenti.
Il risultato è un progressivo disallineamento tra domanda e offerta che ha poco a che fare con l’orientamento universitario, e molto con la mancanza di posizionamento strategico.
Secondo il Consiglio Nazionale degli Ingegneri, il numero di laureati in ingegneria è diminuito del 18% negli ultimi dieci anni. Le iscrizioni alle facoltà di architettura hanno subito un crollo ancora più netto. Ma il dato più rilevante non è questo: è che solo una parte minima dei laureati sceglie di lavorare in studi o imprese di costruzione tradizionali.
Le aspettative sono cambiate. La narrazione professionale anche.
Il nuovo codice di attrattività: identità, visione e rappresentazione
Oggi i giovani selezionano il proprio contesto lavorativo con logiche che vanno oltre il contenuto del lavoro o il livello retributivo.
Tre domande definiscono la scelta:
• Questo studio o impresa mi rappresenta?
• La leadership qui mi ispira?
• Il percorso proposto ha un significato per me?
In assenza di risposte convincenti, i talenti convergono verso settori più “narrabili”, capaci di stimolare identità e visione: brand design, strategia, sostenibilità, digitale.
Non perché siano più facili, ma perché comunicano meglio ciò che promettono.
L’ingegneria, l’architettura e la progettazione infrastrutturale sono oggi percepiti come settori silenziosi, incapaci di esprimere un’identità culturale, una visione contemporanea o un ecosistema professionale coinvolgente.
E in un’epoca in cui l’appartenenza è più potente del dovere, la narrazione è leva competitiva.
Il valore percepito dell’esperienza: oltre la leva economica
Le nuove generazioni non ignorano la componente economica: la solidità dell’offerta retributiva resta un prerequisito per attrarre e trattenere talento qualificato.
Ma ciò che distingue realmente uno studio competitivo è la capacità di costruire un’esperienza professionale ad alto valore percepito.
La retribuzione è necessaria, ma non più sufficiente.
È il contesto che attribuisce valore al compenso, non il contrario.
Il significato, l’identità e la progettualità dell’esperienza lavorativa sono ormai elementi fondativi del valore professionale.
E la generazione Z — ma anche i nuovi millennial — attribuisce priorità al contesto relazionale, alla possibilità di crescita e alla qualità del tempo investito nel lavoro.
Gli studi tecnici che attraggono e trattengono talento sono quelli che:
• costruiscono ambienti di lavoro ispiranti e professionali;
• prevedono momenti di confronto strutturato con i partner o project leader;
• propongono percorsi formativi reali, anche trasversali, e occasioni di esposizione diretta su progetti complessi;
• offrono strumenti di collaborazione evoluti, evitando il caos operativo che caratterizza ancora molte realtà intermedie.
In altri termini: il riconoscimento economico deve essere coerente con una promessa organizzativa credibile, stimolante e strutturata.
Dove non c’è crescita, visione e cultura, anche un’offerta competitiva perde potere attrattivo.
Dal fondatore carismatico al sistema organizzato: il passaggio chiave
Nella maggior parte degli studi tecnici e delle imprese di costruzione, il fondatore continua a essere il fulcro di ogni decisione, relazione e apprendimento.
Ma nessuna nuova generazione può integrarsi in un sistema fondato sull’osmosi e sull’imitazione silenziosa.
L’idea che “basta stare vicino al capo per imparare” è incompatibile con la cultura di crescita e riconoscimento che le nuove generazioni si aspettano.
La delega non può essere improvvisazione.
Il passaggio di conoscenza non può essere affidato al tempo.
La leadership non può restare un talento individuale.
Per costruire un’organizzazione attrattiva, il carisma deve diventare metodo.
Il mestiere deve trasformarsi in percorso.
E la leadership deve evolvere da esempio individuale a sistema collettivo.
Employer branding ≠ strategia: attrarre è una questione di posizionamento competitivo
Il talento tecnico non si attrae con campagne social o benefit occasionali.
Si attrae con visione, struttura e coerenza.
Le aziende che attraggono sono quelle che:
• comunicano una missione chiara, che trascende il singolo progetto;
• offrono una crescita strutturata, visibile e misurabile;
• espongono i giovani a esperienze reali, complesse e significative;
• riconoscono il contributo individuale come leva di valore, non solo come produttività.
In un mercato in cui la differenza tra uno studio e un altro è spesso invisibile agli occhi di un giovane talento, la percezione diventa sostanza.
Dove non c’è visione, il talento non resta.
Dove non c’è struttura, il talento non cresce.
Dove non c’è posizionamento, il talento non arriva.
La leva organizzativa: middle management e percorsi di responsabilizzazione
In oltre il 70% degli studi tecnici analizzati da Envisa, non esiste un middle management formalizzato.
Questo significa che ogni nuovo ingresso dipende direttamente dai soci o dai fondatori, generando un collo di bottiglia nella crescita.
Senza una seconda linea, ogni onboarding diventa fragile, ogni percorso di crescita è incerto, ogni delega è un salto nel vuoto.
Non esiste continuità. Non esiste visione condivisa. Non esiste attrattività reale.
Costruire una seconda linea non è un costo: è l’unico modo per garantire sostenibilità operativa e attrattività nel lungo periodo.
Le aziende che attraggono e trattengono giovani talenti:
• hanno ruoli chiari e responsabilità definite;
• offrono feedback sistematici e coaching reale;
• separano la funzione formativa da quella direttiva;
• valorizzano il percorso, non solo la performance.
Formalizzare il middle management non è solo una questione di governance interna: è un messaggio forte verso l’esterno.
È la dimostrazione che l’azienda è pronta ad accogliere il talento con un progetto di crescita, non solo con un carico di lavoro.
Il talento come asset strategico: il nuovo vantaggio competitivo
In un mercato in cui la differenza tra studi tecnici è spesso marginale dal punto di vista delle competenze, il capitale umano diventa il vero asset distintivo.
Chi riesce ad attrarre giovani preparati, motivati e leali acquisisce un vantaggio competitivo difficile da colmare.
Non solo in termini di produttività, ma soprattutto in capacità di affrontare l’incertezza e guidare l’innovazione.
Un giovane talento ben inserito oggi è un moltiplicatore di valore domani.
Non serve formare persone perfette, serve costruire contesti in cui le persone possano esprimere il meglio di sé.
Le aziende che crescono sono quelle che riescono a far crescere le persone al proprio interno.
E quelle che riescono a far crescere le persone sono quelle che hanno smesso di cercare “dipendenti” e hanno iniziato a costruire alleanze professionali.
Conclusione: non è un tema HR. È strategia d’impresa
Ripensare l’attrattività non è un compito da assegnare all’ufficio HR o al reparto comunicazione.
È una scelta strategica di posizionamento organizzativo e competitivo.
Significa decidere chi si vuole attrarre, cosa si vuole rappresentare, e come si intende crescere.
Significa investire sulla cultura aziendale come leva di sviluppo, e trasformare ogni nuova assunzione in un atto di leadership.
Attrarre giovani talenti tecnici non è questione di fortuna.
È una conseguenza diretta della visione, del metodo e del posizionamento.
Chi fa questa scelta oggi, costruisce l’impresa che i talenti vorranno abitare domani.
E in un mondo in cui i talenti scelgono più di quanto vengano scelti, questa è la vera competizione che vale la pena vincere.
A cura di Andrea Peschiuta
Founder di Envisa